ANDIAMO A BERE LA PIOGGIA
Raffaele Mangano
Il moscone si allontanò. Tornò indietro ronzando. Giuseppe alzò la mano per scacciarlo. Gabriele gli bloccò il braccio con mossa rapida.
“Stai fermo, altrimenti si accorge di noi” disse a bassa voce, portando il dito alle labbra. Giuseppe riprese la posizione di prima, limitandosi a scostare l’erba che gli copriva la visuale. Il caldo del primo pomeriggio rendeva l’ aria densa e appiccicosa. Attorno il rumoreggiare di cicale e canti di uccelli. L’ eco lontana di un trattore. I ragazzi, le magliette incollate al corpo per il sudore, osservavano un ciliegio a poca distanza dal fossato in secca dove si erano accovacciati. L’ albero, dal tronco enorme e i rami carichi di frutti, segnava il limitare del podere di un anziano contadino, Clelio Mantegazza all’ anagrafe, ma da sempre conosciuto come Crapùn. Costui possedeva entrambe le caratteristiche del soprannome: una grande testa e l’ottusità mentale. Il collo, largo e corto, si innestava su un corpo sgraziato per via del ventre sporgente che tracimava dalla cinta dei pantaloni. Vestiva sempre di scuro e riparava il cranio, appena velato da una sorta di peluria grigia, con un cappello di panno grezzo, lo stesso in ogni periodo dell’ anno. Il Crapùn era un tizio dai modi bruschi, ruvido e scorbutico con tutti; ma nutriva un particolare malanimo nei confronti dei ragazzi. A suo dire erano più dannosi della tignola e della bacola che distruggevano gli ortaggi. Era vedovo e non aveva figli, e questo accresceva probabilmente l’ insofferenza verso tutti i giovani abitanti della zona; però il nemico giurato era la banda degli otto, alla quale appartenevano Giuseppe e Gabriele. Dalla primavera al tardo autunno il Crapùn doveva vigilare per arginare le scorribande degli incursori che si impegnavano a saccheggiare, a seconda dei periodi, pere, mele, more, albicocche, ciliege, susine, uva. Con la coda invernale riservata ai cachi. Tra la maturazione di un frutto e l’ altro, la banda non rimaneva inattiva, ma cercava il bottino nel campo di frumento o in quello attiguo di granoturco. Nel primo caso per raccogliere papaveri e fiordalisi, oppure cacciare farfalle, cavallette, maggiolini, scarabei. Insetti che in seguito diventavano trofei, fissati da spille sopra un asse di legno, nello scantinato dove gli otto si riunivano. Invece le incursioni nel campo di mais servivano per raccogliere le pannocchie, quelle più gonfie di chicchi, da abbrustolire sulla brace e poi sgranare nel palmo della mano. Il Crapùn viveva un incubo lungo un’ estate.