Raffaele Mangano

IL PESCATORE DI TONNI

Romanzo

IL PESCATORE DI TONNI

Raffaele Mangano

«U piscispata s’ammazza da sulu. Un’avi vògghia di fà risi piscà ri.» Zu Beppe leccò il bordo della cartina in cui le sue mani ruvide avevano sistemato una presa di tabacco, sovrappose i due lembi e iniziò a girare la sigaretta tra le dita. Erano le prime parole che mi rivolgeva dal mio ingresso nella casa, quando avevo trattato con la moglie Angela il prezzo della camera per la settimana di vacanza a Favignana. Lui non aveva aperto bocca né fatto cenni col capo, e nemmeno aveva mosso gli occhi. Eppure, prima di accettare la mia offerta, la moglie gli aveva lanciato un’occhiata. Un gesto appena percettibile, come se lo volesse nascondere, ma avrei potuto scommettere che si fossero scambiati un messaggio. Poi Zu Beppe mi aveva stretto la mano, ma era stata sempre Angela a fare le presentazioni. «Mio marito, lui fa il pescatore e io tiro avanti la famiglia. Qui ci sarà  un po’ di confusione ma la camera dà  sul cortile, è pi๠fresca e silenziosa.» Lui sempre zitto. Ora, invece, seduto su una sedia impagliata, parlava senza che io gli avessi chiesto nulla, per buttare là  quella frase sul pescespada che si suicida piuttosto di lasciarsi pescare. Dopo il nostro primo, muto incontro, ero salito in camera per sistemare le mie cose, poi ero tornato in cucina a prepararmi un caffè. Avevo chiacchierato un po’ con la pa drona di casa e le avevo chiesto se in quella settimana ci sarebbe stata la pesca del tonno. Lei, intenta a spezzettare dei grossi pomodori, si era messa a ridere. << No, no, adesso non c’è. Quella si fa a maggio. Adesso i tonni stanno in alto mare. Tornano quando s’innamorano, e allora, meschini, si fermano qua davanti.» Quindi avevo chiesto qualche informazione sull’isola, sino a che Angela era andata nell’orto a raccogliere dell’altra verdura. Stavo fermo davanti ai fornelli, lo sguardo di Zu Beppe fisso alla finestra. Mi sentivo alquanto in imbarazzo per quella presenza silenziosa, che mi ignorava come se neanche mi vedesse. Alzavo ripetutamente il coperchio della moka, pur sapendo che il caffè non era certo pronto. Osservavo il suo viso immobile, le cui rughe, a cerchi concentrici, mi ricordavano le isobare delle carte geografiche. Ma era il collo, il vero capolavoro della natura: un reticolo geometrico lo ricopriva per intero, e si poteva quasi credere che avesse indossato una rete da pesca a mo’ di sciarpa, e questa con l’andare del tempo gli fosse rimasta impressa sulla pelle. D’un tratto Zu Beppe si era mosso, e con una lentezza esasperante per le mie abitudini da uomo di città , aveva cominciato a prepararsi la sigaretta.

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